Sia ben chiaro:

Solamente una persona con gravi problemi psichici potrebbe ritenere questa accozzaglia di pensieri e parole come una testata giornalistica,anche perchè viene aggiornata senza alcuna periodicità.

NON PUO'PERTANTO CONSIDERARSI UN PRODOTTO EDITORIALE EX L.62 7/3/2001.



Per contattarmi: rivedelfiume@tiscali.it

lunedì 28 novembre 2011

The great robbery


Se ne parla da qualche giorno, in coincidenza con l’arrivo del nuovo governo.
Abolire il contante: o per lo meno, limitarne l’uso a transazioni sino ad un certo limite (molti giornali, ed anche l’ex premier, ovviamente contrario, parlano di 300€). Eliminare il denaro contante porterebbe molti benefici, dato che il contante fa prosperare ogni tipo di mentalità e di illegalità e, suo tramite, si alimentano anche corruzione  ed evasione fiscale, dicono i favorevoli. Detto così, sembra il toccasana per una serie di questioni, nel nostro Paese, ormai endemiche.
Ma…
Ci sono anche dei “ma”, e non si tratta di problemi leggerini, anzi. Alcuni economisti liberal infatti sostengono che il denaro elettronico comporta una altissima pericolosità sociale: permette tecnicamente una possibile forma di espropriazione elettronica mediante flussi accentrati nel sistema bancario. E' una sostanziale delega formale del valore, anche del valore d'uso per noi tanto prezioso. Non a caso la circolazione elettronica attraverso la diffusione di bancomat e carte di credito è, per il sistema bancario, nient'altro che un moltiplicatore del denaro circolante, sulla base del quale viene moltiplicato diverse volte il capitale gestito che diventa, a sua volta, fittizio, speculativo, cartolarizzato e spezzettato in derivati, avente come base quello detenuto in forma elettronica. Non a caso sono state studiate le carte acquisti dei pensionati, come da noi le famigerate Social card. Quindi, la forma esclusiva del denaro elettronico è la fine del mercato e delle transazioni più o meno libere.
Per quanto mi riguarda, faccio un ragionamento molto elementare: sono a favore della riduzione della circolazione del contante per la semplice ragione della tracciabilità. Pagare tutto, come ad esempio si fa negli States, con la carta di credito, evita la noiosa prassi (o la pia illusione…) di richiedere lo scontrino fiscale; infatti l'acquisto è tracciabile sia per l'acquirente che per il venditore. Il problema vero sta nella mentalità; l'italiano è furbetto per natura, sono secoli che i furbetti fanno soldi e gli onesti stanno al palo. Oltretutto, una mia antica convinzione è che dalle nostre parti l'evasione fiscale sia voluta come forma di ridistribuzione sociale, almeno quella piccola, percettibile: scontrini, fatture et similia, quella cioè di cui siamo vittime (ma a volte anche complici) quotidianamente. Quella grande, che modella i debiti sovrani, i grandi fallimenti, la robbery vera e propria per intenderci, non viene mai percepita, pur essendo più che reale e strutturale, ed ha come strumento formidabile l'incontrollata ed incontrollabile forma elettronica.
Quella tra classi sociali, peraltro, è a dir poco odiosa: ma mentre in Norvegia, ad esempio, chi dovesse evadere le tasse viene considerato un criminale,  e non uno da cui prendere esempio, in quanto il suo non pagare le imposte comporta un danno verso la collettività, dalle nostre parti suscita ammirazione in quanto “furbo” o “vincente”. Fino a che non si raggiungerà un livello di consapevolezza simile a questa, ogni soluzione rappresenterà solamente un palliativo. Anche se a volte ne guarisce più il placebo che il principio.

giovedì 24 novembre 2011

Beata 'ncoscienza


Oggi, giorno di pioggia.
In quell’anta di mobile che apro raramente, un pacco di vecchie riviste. Tra cui una di informatica di fine anni 90, titolo che strombazza i magnifici destini che attenderanno i fortunati utenti che passeranno al neonato Windows ME, i prezzi in lire di prodotti ed accessori,  quando un masterizzatore interno da pc veleggiava sul mezzo milione, una stampante laser costava quanto uno scooter, e così via. Poi, e questo mi ha fatto riflettere,  un articolo in cui si magnificava il livello raggiunto dai programmi di dettatura vocale. Costavano solo qualche centinaio di $, necessitavano solo di macchine che costavano come una buona Panda di seconda mano,  esigevano solo una fase di apprendimento di qualche decina di ore, richiedevano solo una pronuncia priva di inflessioni dialettali (e guai ad avere il raffreddore) e sbagliavano pochissimo, solo una parola su 10, ma solo a patto di essere in un ambiente silenzioso e con un microfono “noise reduction”, che costava come un treno di gomme per la Panda succitata. 
Si abbozzavano, nell’articolo, le enormi complessità della cosa, bisognava fare in tempo reale la trasformata di Fourier, scomporre la frase tentando di individuarne le componenti ed era indispensabile un minimo di analisi semantica. Solo una decina di anni prima le prime sperimentazioni necessitavano di hardware dedicato che facesse tutti i conti, dal costo di decine di migliaia di $ (dei tempi); inoltre ogni lingua aveva particolarità proprie, quindi un programma che funzionava bene per l'inglese doveva essere pesantemente modificato per comprendere l'italiano, e non è detto neppure che alla fine non richiedesse pesanti interventi manuali di correzione.
Oggi, giorno di pioggia.
Mentre  sono in macchina -quindi un ambiente rumoroso- fermo nella classica colonna da “tutti in macchina perché piove”, ripenso a quel vecchio articolo, schiaccio –anzi sfioro- un tasto sullo schermo di un telefono Android da pochi soldi, e dico quello che voglio annotare. Nonostante non abbia fatto nessun tipo di training, nonostante io abbia pesantissime inflessioni dialettali, nonostante l'ambiente pieno di rumori, vedo scritto su schermo quello che dico, praticamente senza errori. Sfioro un altro paio di tasti, ed eccoli qua, adesso, i miei pensieri, belli (insomma…) pronti da condividere e discutere insieme.
Riflessione #1: troppo spesso sottovalutiamo la quantità di lavoro, fatica, ricerche e studi che sono stati necessari per avere queste cose, le diamo per scontate. Di conseguenza, non le valutiamo quanto meritano.
Riflessione #2: troppo spesso trascuriamo che noi facciamo con pochi soldi cose che una volta -ma neanche tanto tempo fa- richiedevano investimenti notevoli.
Riflessione #3: e quindi?

martedì 22 novembre 2011

test #2

Sto provando a traslocare, ma lungo è il cammino. Sono solo prove tecniche...scusatemi, ma sono impedito....

lunedì 21 novembre 2011