Sia ben chiaro:

Solamente una persona con gravi problemi psichici potrebbe ritenere questa accozzaglia di pensieri e parole come una testata giornalistica,anche perchè viene aggiornata senza alcuna periodicità.

NON PUO'PERTANTO CONSIDERARSI UN PRODOTTO EDITORIALE EX L.62 7/3/2001.



Per contattarmi: rivedelfiume@tiscali.it

sabato 31 marzo 2012

Here, there and everywhere

Insomma: dato che questo fiume è stato forzatamente deviato dal suo corso naturale, ho deciso di trasferire le mie limitata capacità mentali in questo altro posto. Spero che tutti quelli che hanno reso possibile, negli anni, tutto questo, possano regalarmi la loro presenza,

giovedì 29 marzo 2012

Grazie perchè


Allora: fonti solitamente ben informate mi riferiscono che sia il fiumeazzurro che questo porto delle nebbie finiscono in spam (e con essi, il miserrimo miserabile autore) perchè un qualcuno non meglio precisato li mi ci segnala a Blogspot come "spam" o spammer, o comunque come insano portatore di una qualche scorrettezza rispetto ai termini contrattuali. 
Io non so chi sia quest'essere che si prende la briga di bollare me ed i diarii: posso solo augurare a questa personcina di avere una esistenza molto migliore di chi sia costretto a ricorrere a questi mezzucci per riempirsi le giornate. Come diceva Marcello Marchesi in un suo noto aforisma: "Chi si diverte con niente ha fantasia, chi si diverte con poco è un fesso". 

Per cui, cara bella personcina che si diverte con poco, accetta il mio augurio ed un consiglio: fai qualcosa per la tua salute, curati, fatti vedere, esci di casa ogni tanto, insomma cerca di vivere e di non essere solo una mera sopravvivenza anagrafica. 
Hai tutto da guadagnarci.

mercoledì 28 marzo 2012

New skin for the old ceremony

Mi sono spostato QUI, perchè ero stufo dei miei commenti che finivano nella spammeria.

Siete tutti attesi con trepidazione [unico lusso concesso: anche perchè da un lato, siete tutti incorruttibili, e dall'altro non potrei permettermi nessuna altra forma tangibile di persuasione...] .

mercoledì 21 marzo 2012

Non è tutto oro ciò che luccica


Il fenomeno è a dir poco impressionante: non ci avevo mai fatto caso prima, poi un incontro casuale [ed un commento di Leira nel post precedente] hanno dato il via alle considerazioni. Riassunte in una sola parola (in origine erano due, ma le necessità del marketing hanno compresso in una sola. E non solo le parole, sono compresse): i compraoro.
Spuntano come funghi, se persino nella cittadella -che per quanto riguarda l’apertura mentale è in pratica una comunità Amish ma che ama girare in Suv- se ne contano almeno una decina. Uno di questi, ed ecco l’incontro casuale, è di proprietà di un tizio che è talmente convinto della propria avvenenza da riempire col suo faccione le fiancate dei bus e decine di minuti di televendita sulla tv locale. Ad occhio, non credo abbia profondi studi di fisiognomica, ma poco o nulla conta. Conta, invece, che il suo negozio sia sempre pieno. Così, mentre lo vedo “di pirzona pirzonalmente” , vestito di eccellente fattura, occhiale alla moda, orologio che è più oro che logio, sorbirsi avidamente un eccellente e ricco aperitivo, penso che dietro quel bicchiere ci siano storie di affitti, bollette, mutui, spesa alimentare, figli da crescere e far studiare.
Tutte quelle voci di bilancio, insomma, difficili da sostenere quando la crisi colpisce, e colpisce duro.
Per questo sempre più spesso si tende a far ricorso alla vendita dei gioielli e dell’oro usato in cambio di denaro liquido. E dove c’è il miele, arrivano le api. In realtà, pare che aprire una bottega del genere non sia una impresa troppo complicata: basta trovare una vetrina  od un insegna ben colorate, la scritta “compro oro” a caratteri cubitali [ovviamente dorati], un po’ di cartellonistica ed un passaparola nei posti giusti, ed il gioco è fatto . Il boom è generato anche da una normativa dalle maglie larghe: non si paga l'Iva perché l'attività è considerata "di rottamazione". Il registro di carico e scarico merce è l'unica "prova" del passaggio di proprietà dell'oggetto preso in carico. E l'unico obbligo di legge, la registrazione dei dati del venditore, spesso viene ignorato. Non nel caso dell’ Avvenente, che invece è di una correttezza esemplare: ci ho accompagnato, un po’ per curiosità un po’ per doverosa assistenza, mia madre che doveva vendere un po’ di cose legate a ricordi da cancellare.
E mi ha stupito la coda: tra dentro e fuori, almeno una decina di persone.
Persone, e le storie che si portano dietro.
Con molto pudore, peraltro: ma non è difficile intuire che si tratta comunque di persone cui il reddito o la pensione non bastano di fronte ad una spesa imprevista, e che cercano di far quadrare il bilancio senza intaccare i sempre più risicati risparmi rinunciando a qualche oggetto ormai in disuso.
Come nelle banche del post precedente, il rapporto è squilibrato: quelle che sembrano quotazioni alte, sono in realtà pie illusioni. Basta fare un rapido giro per rendersi conto che si possono trovare sostanziose differenze di prezzo d'acquisto tra un punto e l'altro.
Tamponi per ferite, tappi di plastica su un buco troppo grande.
Chi vende è quasi sempre in forte difficoltà economica e ha ben poco potere contrattuale, quindi finisce per accettare prezzi bassi. Inoltre l'oro ritirato dovrebbe essere fuso per legge, ma questo non avviene sempre. Spesso, invece, gli oggetti di maggior pregio sono reimmessi in commercio, con margini di guadagno maggiori.
Una curiosità riportata sul Rapporto Eurispes: la corsa all’oro del terzo millennio si incentra non tanto sull’estrazione, quanto sul recupero del metallo prezioso da prodotti di largo consumo: le schede madri dei pc sono il più ricco giacimento di “oro di seconda mano”, e dai cellulari si può recuperare una discreta fortuna (da 1 milione di cellulari si ricavano 37,5 chili d’oro, 386 d’argento e 16,5 di palladio).
Insomma, se il mattino ha l’oro in bocca, spesso molte bocche mangiano proprio grazie all’oro: e non mi riferisco, ahinoi, solo a chi lo compra.

mercoledì 14 marzo 2012

Money, it's a crime


Avere conservato l’amicizia con un bancario può, a volte, essere un vantaggio.
Non tanto per chiedere eventuali favori (del resto con un magro salario da pubblico dipendente, a differenza di quanto avveniva una ventina di anni fa, erano i bei tempi dei “pochi, maledetti ma sicuri”, adesso non ti vengono a cercare neanche i cani), ma per aver un osservatorio previlegiato su usi e costumi. Quindi, colgo la palla al balzo per andare a trovare il mio vecchio amico amico vecchio D., funzionario di banca sin da quando eravamo insieme alle elementari. Così, mentre siamo nel suo ufficio davanti ad una enorme tazza di caffè,  tutti intenti in complicatissime questioni di alta finanza (alias, la consultazione dei volantini dei centri commerciali per decidere quale pc egli debba comperarsi) capita pure questo. Entra il giovane funzionario, si pavoneggia col suo look che sarà anche costruito sui bigliettoni lasciati nell’Emporio dello stilista con l’aquila, ma addosso a lui sembra più rubato nel sonno ad un testimone di Geova, ed incurante della privacy sghignazza con D. : “Lo sai che Tizio è in difficoltà, alla banca concorrente gli hanno revocato il fido? Adesso non c’è più il paparino a parargli il culo, anche lui è in sofferenza”. Poi mi guarda, e salta su: “Beati noi poveracci, almeno siamo abituati al nostro tenore di vita, questi tipi invece non hanno capito che  a far la bella vita prima o poi si paga. E poi, per non parlare dei commercianti che non fanno gli scontrini…”.
Poveraccio sarai tu, penso.
Il mio amico lo fulmina. In mezzo secondo, ha infranto non so quante norme del codice etico. 

Lo prenderei a calci in culo, se potessi. Invece mi sa che  sarà lui a prendere a calci in culo me per il posto da direttore dell’agenzia”.
“ma dai, tu ormai sono trent’anni che sei qui”
Eh si, ma io pago lo scotto di non seguire il trend…
“Cioè? Spiegami”.
Più o meno, dobbiamo essere lecchini nei confronti di chi versa, cani rabbiosi nei confronti di chi preleva o chiede tempo per rientrare dallo scoperto
“E a chi chiede un mutuo?”
Ma chi, chiede un mutuo, oggi?”

Resto sconfortato. Empatizzo. Del resto, masticandone un po’ e contando sulla amicizia disinteressata di D. [non mi ha mai neppure per scherzo proposto di aprire il conto nella sua banca, si riterrebbe in conflitto di interessi con la nostra antica e consolidata amicizia], ho avuto la prova provata di come certi “rampanti” bancar(ellar)i non sappiano davvero un emerito nulla di quello che sono obbligati a consigliarti se si parla di investimenti e titoli in genere. Sfiorano il ridicolo arrampicandosi sugli specchi. La settimana scorsa hanno contattato mia mamma per proporle un qualcosa: lei ha un conto corrente del quale sono cointestatario; qualche migliaio di euro, non certo grosse cifre.
Allora mi sono finto interessato non alle loro proposte, ma allo swap della Grecia. Ho indossato una magnifica faccia di bronzo (non greco) sostenendo di avere presso un’altra banca un dossier titoli di altrettante (poche) migliaia di euro che avrei anche potuto trasferire da loro, e che al suo interno comprendeva anche titoli di Stato della Grecia. Fingendo una ignoranza abissale, mi sono fatto spiegare cosa sia uno swap, quali alternative potrebbero esserci non aderendo, cosa ci avrei rimesso delle mie obbligazioni senior subordinate, ed altre domande fintoingenue simili.  Quando mi sono sentito dire che ”le obbligazioni senior sono titoli a lungo termine emessi tanto tempo fa che stanno per giungere a scadenza” ed al mio inevitabile “E quindi?” mi sono sentito rispondere “poi decide lei se e come reinvestire, ma non si aspetti grandi cifre proprio perché roba vecchia” stavo scoppiando a ridere. Ma anche un po’ a piangere: perché se il sistema bancario, come diceva Greenspan “è come le vene del corpo umano, mentre i soldi sono il sangue”, allora devo arguirne che, con flebologi così, non c’è da stupirsi se il sistema non stia in piedi.

[poi alla fine D. l’ ha scelto, il computer:  lo stesso che aveva in mente da un mese, non voleva pareri o consigli, ma solo conferme alla sua teoria. L’ho detto che a sei anni era già un bancario.]

martedì 6 marzo 2012

Have a cigarette?


“Scusa, hai una sigaretta?”
In effetti, il ragazzo è malconcio, non occorre una gran scienza per capire che vorrebbe ben altro fumo, ma non riesco a dirgli di no. Una sigaretta non la si nega neppure ai condannati a morte, e tuttora a me è rimasto il rimpianto di non aver potuto accontentare mio padre, che fino all’ultimo minuto di lucidità prima di andarsene ne reclamava, implorava, pietiva almeno una.
Da allora non riesco a dire no, a nessuno, voglio pensarlo come omaggio postumo alla memoria, ecco. Chè poi, a pensarci, la sigaretta è un simulacro. Un piacere solitario, da consumare fra sé e sé, che rimane tale anche quando si fuma in gruppo, tipo fuori dal ristorante o quando un treno fa una sosta “tecnica” prolungata in una stazione. A differenza di altri tipi di fumo, come quello che magari il malconcio auspicava, che invece hanno nella condivisione del piacere un mezzo ed al tempo stesso un fine.  Ognuno ha un suo modo di celebrare il tabacco, fattori culturali ed ambientali fomentano le differenze. Dalle sigarette russe col filtro di cartone per essere fumate coi guanti, a quelle che io ho ribattezzato cotton fioc; dal modello Bogart, un’icona per molti di noi, alla sensualissima Marlene Dietrich; dalle atmosfere sognanti delle donne di Helmut Newton alle poverecriste cui il parroco scaglia anatemi in quanto le loro sigarette sono la prova provata dell'esistenza del Maligno. Per tacere dell’iconografia anni’50 (spero limitata nel tempo) della donna che fuma per strada e quindi è sicuramente un po’ zoccola…..
E non tutte le sigarette sono uguali: e non certo per questione di marca. Quella da pausa pranzo è veloce, nervosa; lenta e gustosa è quella che ti gratifica dopo uno sforzo fisico o mentale; ridanciana è quella che si fuma tra amici dopo un brindisi. C'è quella consolatoria, quella della rabbia, della noia, delle malinconie; c’è quella “irrinunciabile” dopo il caffè, quasi un rituale. C’è quella per “fare un po’ il figo”: ai tempi della mia gioventù erano un classico, i ceffi con il pacchetto delle Marlboro nelle maniche arrotolate della camicia. C’è quella usata con l’alibi del “fa digerire” dopo una abbondante libagione; come quella un po’ ruffiana che offri per bendisporre l’interlocutore o una ragazza.
E non a caso l’unico luogo pubblico dove si possa ancora fumare legalmente, in Italia, sono le carceri: il legislatore ha avuto il buonsenso di non scatenare, con un eventuale divieto, rivolte inimmaginabili. Dopodichè, occorrerebbe riflettere sul fatto che sia meglio essere schiavi di un vizio ed essere impediti dal metterlo in pratica, oppure essere autorizzati ad attuarlo, ma in condizioni di prigionia. O se, alla fine, certe mura in realtà imprigionano anche chi non si accorge di averne addosso incombenti ed evidenti: e sono, forse, quelle più difficili da abbattere.

martedì 28 febbraio 2012

Prendila così.....




..insomma, la fatal domanda è giunta: cosa rimpiangete di Splinder? 
E, viceversa, cosa avreste voluto avere di ciò che avete trovato solo nelle nuove "casine"?

[di là, rimpiango i pvt: facili e comodi. Ed ad aver avuto di là il salvataggio del post in corso avrei risparmiato ingrossamenti al mio fegato e "scassamento di cabbasisi", per dirla alla Montalbano]

domenica 26 febbraio 2012

Prova n.2

Anche questo verrà distrutto tra "x" ore

venerdì 24 febbraio 2012

Helpless

Lancio un grido al cielo: come è possibile che il 90% dei commenti che lascio in giro si perdano nel nulla
Già faccio fatica a trovare il tempo per scriverne, chi mi conosce da tempo sa che non sono il tipo da lasciare commenti del tipo "ciao che bello come saltello sotto il sole pazzariello che mi scalda anche il cervello" ad un post dove si parla con serietà di argomenti profondi, ma cerco di dire la mia, magari con ironia, o di contribuire all'argomento. 
Linda ha detto che mi aveva recuperato dallo spam; ecco, ve lo chiedo come fosse una supplica: rovistate nel vostro pattume, ma datemi una mano a capire cosa stia succedendo.
Grazie.


In cambio, spero vogliate gradire questo:





giovedì 23 febbraio 2012

...ostia!

Ed io che credevo che a messa ci si annoiasse. Invece....

[non escludo che sia già partita sui social network una campagna del tipo "tutti, domenica matttina, alla chiesa del Santo Spirito di Campobasso. Non mancate!"]



   

sabato 18 febbraio 2012

Uno che passa di qui

Preambolo alle istruzioni per caricare l’orologio” di Julio Cortazar

Pensa a questo: quando ti regalano un orologio, ti regalano un piccolo inferno fiorito, una catena di rose, una cella d’aria. Non ti danno soltanto l’orologio, tanti, tanti auguri e speriamo che duri perchè è di buona marca, svizzero con àncora di rubini; non ti regalano soltanto questo minuscolo scalpellino che ti legherai al polso e che andrà a spasso con te. Ti regalano – non lo sanno, il terribile è che non lo sanno -, ti regalano un altro frammento fragile e precario di te stesso, qualcosa che è tuo ma che non è il tuo corpo, che devi legare al tuo corpo con il suo cinturino simile a un braccetto disperatamente aggrappato al tuo polso. Ti regalano la necessità di continuare a caricarlo tutti i giorni, l’obbligo di caricarlo se vuoi che continui ad essere un orologio; ti regalano l’ossessione di controllare l’ora esatta nelle vetrine dei gioiellieri, alla radio, al telefono. Ti regalano la paura di perderlo, che te lo rubino, che ti cada per terra e che si rompa. Ti regalano la sua marca, e la certezza che è una marca migliore delle altre, ti regalano la tendenza a fare il confronto fra il tuo orologio e gli altri orologi. Non ti regalano un orologio, sei tu che sei regalato, sei il regalo per il compleanno dell’orologio.

venerdì 10 febbraio 2012

Cat power

Nevica.
Leggo Repubblica.
Ho una gatta come coinquilina.

Quindi, se capita di leggere sul giornale che "Il mondo senza i gatti sarebbe un vero inferno", mentre la mia gatta si nasconde per paura del vento che accompagna i primi fiocchi di neve, non posso che coccolarla e rassicurarla. 

Ed apprezzare questo video scovato sul Tubo, giusto omaggio alla razza felina:




mercoledì 8 febbraio 2012

Profezie che si autoavverano


[moneta greca da 1 euro -2002. Più espliciti di così...]

domenica 5 febbraio 2012

Win for life

Tutti i sondaggi politico-elettorali che circolano stanno mostrando, senza dubbio alcuno, che il vero partito di maggioranza relativa è quello del non voto. Una massa di cittadini che resta senza rappresentanza, anzi subisce le scelte altrui.
Allora, modestamente, sommessamente, timidamente, avanzo una piccola proposta: fra tutti quelli che non si recano al seggio, o votano scheda bianca, o la annullano, o esprimono al seggio la volontà di non votare, vengono estratti a sorte "n" seggi da deputato e senatore, in proporzione al totale dei votanti. Il  sorteggio sarà svolto all'italiana: anonimo, trasparente, super partes. Se qualcuno rinunciasse (volontariamente, ovvio, non gambizzato) subentrerebbe il successivo estratto.
E se qualcuno venisse eletto, anzi estratto, a sua insaputa, sa sin da subito che può contare su illustri predecessori. E qualcosa mi dice che peggio di quelli che ci sono ora non possono fare...ecco, un win for life equo, accessibile a tutti, sociale, solidale e gratuito.
Dico male?

venerdì 3 febbraio 2012

Best of week

[da vecchio seguace dovrei amareggiarmi, ma sentire "Lusi in the sky with diamond" m'ha fatto piegare in due...]

mercoledì 25 gennaio 2012

HO LA FEBBRE IN TUTTO IL CORPO...


Domenica 19 agosto 1928
Mia amica. Ho la febbre in tutto il corpo. Il tuo contatto mi ha riempito di tutte le dolcezze. Mai come in questi lunghissimi giorni, ho tanto centellinato i sorsi della vita. Prima vivevo le ore tranquille di Tantalo ed ora, oggi, l'oggi eterno che ci ha uniti, vivo, senza saziarmi, tutti i sentiti armoniosi dell'amore tanto cari a Shelley ed alla George Sand. Ti dissi - in quell'amplesso espansivo - quanto tempo ti amavo, ma vorrei dirti anche quanto ti amerò, perché il pane della mente che sa materializzare tutte le idealità elette dell'esistenza umana, ci sarà la guida più esperì a ,pieno di tante abilità, risolutrice di tutti i problemi nostri, che - e te lo dico con tutta la sincerità di un amico, di un amante di un compagno il nostro unisono bene sarà bello e lungo, godente e pieno di tutti i sentimenti, grande e sconfinatamente eterno. Quando ti parlo di eternità - tutto ciò che il cuore ha voluto ed amato è eterno - voglio alludere all'eternità dell'amore. L'amore mai muore. L'amore che ha germogliato lontano dal vizio e dal pregiudizio, è puro e nella sua purezza non si può contaminare e l'incontaminato è dell'eternità. Vorrei potermi esprimere sempre nel tuo idioma (Fina gli scriveva sempre in Castigliano, n.d.r.) per cantarti ogni attimo del tempo la dolce canzone dell'anima mia, farti comprendere i palpiti che percuote fortemente il cuore, le delicate figurazioni del pensiero mio che di te invaghitesi non potrà mai dare il "finis" della sua elegia. Ma d'altra parte - io che credo che il mio amore è da te contraccambiato con tutta la possanza della tua gioventù ancora in bocciolo, l'ho letto tante volte sulle tue nere pupille - mi contento nel sapere che per comprendere queste linee debbono essere rilette più di una volta da te. Tu non avrai tempo di scrivermi. Tu devi ancora dedicarti allo studio. Baciami come io ti bacio. Rendimi duplicato il mio bene che ti voglio. Sappi che ti penso sempre, sempre, sempre. Sei l'angelo celestiale che mi accompagna in tutte le ore tristi e liete di questa mia vita refrattaria e ribelle. Con te, ora e sempre.
Tuo Severino

Severino è Severino di Giovanni, e la lettera è indirizzata ad America Josefina Scarfò detta "Fina", italoargentina di origine calabrese (Buenos Aires 1913-26 agosto 2006). Siamo, appunto, nella Argentina degli anni ’20, tra anarchia, terrorismo, amore ed impegno politico. Qui, la figura romantica di Fina diventa un’icona negli ambienti anarchici. Sorella di Paulino ed Alejandro Scarfò, anarchici e compagni di lotta di Severino, si innamora a 15 anni di quest’ultimo, e ne condivide le sorti fino alla fucilazione, avvenuta il 1 febbraio 1931. La stessa sorte tocca il giorno seguente al fratello Paulino. Restata sola, in un mondo assolutamente nemico, continua a mantenere viva la memoria dei suoi cari, ed avuto notizia, negli anni settanta, che la polizia federale argentina è ancora in possesso delle lettere d'amore che Severino  le aveva scritto, intraprende una lunga lotta con la stessa, al fine di ottenerne la restituzione, che finalmente ottiene durante il governo di Carlos Menem.  Fina  intanto si è laureata in lingua e letteratura italiana, ha fatto l'editrice per decenni, prendendosi a 86 anni il diploma universitario di "traductora publica" dal francese continuando a frequentare, nonostante l’età, l'università di Buenos Aires. Tutto ciò per adempiere giorno per giorno al monito di Severino che prima di morire le ha raccomandato "Continua a studiare!".
La storia d’amore è stata raccontata da Maria Luisa Magagnoli nel romanzo biografico “Un caffè molto dolce” [Bollati Boringhieri, 1996]. Il racconto ripercorre le tappe della storia d'amore e d'anarchia che nel tempo si è diffusa e propagata a macchia d'olio dall'America Latina in tutto il mondo. L'insegnante Di Giovanni è emigrato da Chieti in Argentina con la moglie Teresa e tre figli, approdando per caso nell'abitazione della famiglia Scarfò, d'origine calabrese - la madre Caterina Romano originaria di Tropea e il padre Pietro Scarfò di Portigliola - la quale offre ai Di Giovanni, in affitto, parte dei propri locali. Dalla convivenza tra le due famiglie nasce l'amore tra il giovane e la quindicenne Josefina America. Le lettere che Severino di tanto in tanto fa recapitare alla ragazza contengono parole sublimi di ardore e passione che però danno un tono sempre rispettoso alla relazione tra i due, in contraddizione con il modus operandi dell'anarchico che predilige, in nome della sua libertà, le scorribande terroristiche cittadine dispensando dinamite e pallottole in decine e decine di attentati sanguinari. Per potere stare assieme a Severino, e quindi lontano dai suoi, America sposa, d'accordo con l'amante, un certo Silvio Astolfi che dopo la morte di Di Giovanni abbandona, troncando i rapporti con la propria famiglia.
"Come stanno le begonie?" è il primo punto di domanda che Severino rivolge ad America per rompere il ghiaccio di quella che sarà la loro relazione sentimentale. E' la frase che col tempo è divenuta "cult" tra i giovani [e meno giovani] argentini per auspicarsi che l'inizio dell'approccio amoroso vada verso il buon esito sperato. Da tempo è adottata nello scambio degli auguri in occasione della Festa di San Valentino. [Per la cronaca, la risposta di Fina è stata "Sono triste!"].
Arrestato e condannato a morte, a Severino viene concesso di salutare Fina, anch’essa detenuta, prima dell'esecuzione. Lei lo abbraccia, lui la bacia. Le chiede di badare ai figli che egli ha avuto con Teresa, sua moglie. America gli risponde: "Il tuo ricordo mi rimarrà fino alla morte". Lui la guarda con gli occhi pieni di lacrime e le dice:"Oh, Fina, tu sei così giovane!Devi continuare a studiare". Si baciano di nuovo. Fina esce, continua a guardarlo, per questo inciampa in una grata e Severino le dice: "Stai attenta!".
I principali giornalisti di Buenos Aires assistono alla fucilazione. La miglior cronaca è quella di Roberto Arlt che non aggiunge alcun commento da parte sua, si limita a descrivere quel “teatro irrazionale della forza bruta contro le idee. La scarica terminò con il più bello tra i presenti", come conclude il suo articolo per  il Buenos Aires Herald.
Il giorno seguente cade anche Paulino Scarfò dinanzi al plotone di fucilazione. Sia Severino che Paulino, prima d’esser fucilati, sono stati barbaramente torturati dalla polizia di Uriburu. Ma essi non fanno  il nome di nessun compagno. L’ultimo incontro tra Fina ed il fratello è brevissimo. Lei non riesce a dissimulare il proprio dolore nel vedere il suo volto gonfio. Lui la trattiene: "Non piangere". Poi, con molto affetto, aggiunge: "Povera ragazza". Le bacia una guancia. Lei lo bacia con forza e gli chiede: "Non vuoi vedere la mamma?".  Lui risponde: "No, non vedi come sto?". Gli si vedono tutti i segni delle torture. Poi aggiunge: “Sto desiderando che tutto questo termini una volta per tutte". La bacia. Fina lo riabbraccia, si guardano negli occhi, ma non piange. L’agente di custodia  sollecita [possiamo immaginare con quale garbo]  di farla finita. Fina se ne va, il passo deciso. Sia Severino che Paulino, di fronte all’ordine di far fuoco,  gridano con tutto l’ultimo fiato: "Viva l’anarchia!". Accade nel penitenziario di Buenos Aires, e le scariche sono talmente intense ed accanite da essere udite fino nei giardini del quartiere Palermo.  Nell’arco di 48 ore alla adolescente Fina hanno strappato due suoi grandi affetti. Resta sola, in un mondo assolutamente nemico. Ma combattiva, decisa, pugnace.
Ed innamorata di vita e di amore.

"Carissima, più che con la penna, il testamento ideale m’è scaturito oggi dal cuore, quando ho parlato con te: le mie cose, i miei ideali. Bacia mio figlio, le mie figlie. Sii felice. Addio, unica dolcezza della mia povera vita. Ti bacio molto. Pensami sempre.
Il tuo Severino".

venerdì 20 gennaio 2012

33 1/3




Una domenica come le altre, pranzo a casa della suocera, io e mio cognato seduti accanto a chiacchierare di qualunque cosa sia attaccabile ad una presa elettrica o ad un cavo di rete;  in fin dei conti siamo reciprocamente le nostre isole di conversazione, sull’argomento.
Tv accesa, ovviamente su Raiuno dato che per mia suocera le tv sono o quella o Banale5. Ad un certo punto, deflagra sulle conversazioni (da un lato noi a ragionare su router&firewall, dall’altra parte le signore a raccontare di disgrazie e malanni) uno spot.  Quello dell’ultimo modello di Jeep. Colonna sonora: un indimenticabile giro di basso, cui segue una apertura di chitarre elettriche, spot che termina proprio nel momento in cui nel disco irrompono le voci. Cavolo, i Fleetwood Mac, questa è “The chain”, sta su “Rumours”.
Vola la memoria a quell’estate del ’77, Sandy  -l’amica americana- che arriva dagli States con questo album in vetta alle chart. Grande, la mia curiosità: per me i FM (Fleetwood, McVie, Green, Spencer) erano stati un gruppo inglese di onesti artigiani con ascendenze rock-blues , sulla scia di gruppi come potevano essere i Cream et similia. Poi Peter Green se n’era andato e, da solista, con “The end of the game”, aveva fatto le coccole agli orfani di Jimi Hendrix.  
Trasferitisi nella solatìa California, con l’ arrivo di Christine Perfect, coniugata McVie, e degli “indigeni” Buckingham e Nicks, era avvenuta la fusione in un unico calderone delle radici blues del gruppo con il soft rock molto “on the radio” tipico della San Francisco di quegli anni.
Quindi “Rumours" (Pettegolezzi: e mai titolo fu più azzeccato, dato che durante la lavorazione dell’album tra tradimenti, separazioni, riconciliazioni, scazzottate, gelosie, ripicche e quant’altro era successo davvero di tutto, peggio che in un film di Cassavetes): un esito commerciale incredibile, se è vero che l’album è tuttora il secondo più venduto di sempre, dopo “Thriller” di Michael Jackson. Uno dei dischi in assoluto più “suonabili”: qualità delle registrazioni elevatissima, classico disco da farci bella figura anche con impianti stereo modesti  -all’epoca ci si teneva moltissimo, viene quasi da sorridere, a pensarci nell’era degli mp3.
Beninteso, non è un capolavoro assoluto, anzi: ma ha un suo fascino tuttora irresistibile. "A soap opera in vinyl" lo definì lo stesso Buckingham, all’epoca “piacione” del gruppo: bastò infatti vedere le foto sull’album  per eleggere Stevie Nicks a Regina dei Sogni, e l’eleganza molto “macho” dell’ipertricotico Lindsey  a far sognare fiumi di ragazze [mia amica Sandy compresa].
L’album originale apre con "Second Hand News" , delizioso frutto del mix di cui parlavo sopra. Ma è subito immersione con quello che sarà il singolo dal successo stratosferico,  "Dreams", dove la voce nasale e vagamente eterea di Nicks ben si sposa con la forza della sezione ritmica sincopata. 

Never Going Back Again”, country pizzicato e cori che più californiani di così non si può, fa da rampa di lancio per  “Don’t stop”,  a firma di Christine (ancora per poco) McVie,  talmente popolare che diventerà l’inno, negli anni a seguire, per la campagna elettorale di un certo Bill Clinton…..
Go Your Own Way” è una dichiarazione di simil-odio, sotto forma di rock melodico, da parte dell’Ipertricotico verso la compagna Nicks, sospettata di una tresca sentimentale all’interno del gruppo.  Voce e piano (di Christine McVie) nella delicatissima "Songbird", prima di volare con “The chain”. Firmata dall’intero gruppo, potrebbe anche essere, oltra che colonna sonora dello spot, una delle canzoni-manifesto della musica californiana anni ’70, ricca di suggestioni e richiami, impasti melodici e vocali, forse il pezzo migliore dell’album, almeno nel mio sindacabilissimo giudizio. Finale dell’album al femminile ed alternato: “You Make Loving Fun” (C. McVie)  che rimanda un po’ al rock degli inizi, ma permeato delle nuove sonorità californiane; “I Don't Want to Know”, firmato Nicks, che sembra la risposta appunto ai pettegolezzi, ma musicalmente è neutrale; l’accorata “Oh Daddy”, omaggio firmato Christine ad un padre che non sappiamo se inteso realmente in senso genealogico, o se riferita ad uno spacciatore conosciuto nel giro, o se siamo agli epigoni di un Papi, nel senso conosciuto al giorno d’oggi nelle nostre cronache. Chiude l’album “Gold Dust Woman”: sempre firmato Nicks, con un tono anche vagamente antipatico nella voce, come se alla bambolina avessero pestato i piedini. O forse erano davvero solo chiacchiere, o, appunto “Rumours”.

Alla fine, non è proprio uno dei dischi che mi porterei nella classica isola deserta: diciamo però che se si ha voglia di un sottofondo non monocorde o di qualcosa da canticchiarci sopra in macchina, ha tuttora una sua valenza. Milioni di mosche persone che lo hanno comprato non possono essersi sbagliate……….



giovedì 12 gennaio 2012

Morte di un connesso viaggiatore


[e il naufragar è dolce in questo virtualmare]


Che poi uno con internet si fa una cultura.
Ad esempio, sei una ragazza e vivi in una centrale nucleare? Metti a riposo il tailleur, indossa un bikini sgargiante e concediti un paio di autoscatti: parteciperai al concorso Miss Atom. Se non ti senti così scissa, in Baviera potrai sempre trovare al "Brain Sciences" di Monaco qualcuno che ti legge nel cervello prima ancora che le tue sinapsi si coniughino in azioni. Se la materia grigia non è il tuo punto forte, c’è sempre la vista. Un paio d’ore al giorno davanti ai videogiochi per un mese migliora del 20% la capacità di identificare al volo le lettere di un test oculistico, parola dei ricercatori di Rochester, Usa. E addio all’antico rimedio delle carote. Il nobile ortaggio è ormai appannaggio delle mucche del Jersey: un allevatore assicura che, da quando ne sono diventate ghiotte, le sue producono un gustoso latte rosa.

Sono alcune delle chicche che vengono tranquillamente spacciate per notizie sul web. La decenza poi non permette di approfondire temi importanti quali il doppio vibratore collegato all’iPod, quanto fosse cessa Cleopatra [come da ricostruzione da cameo di 2000 anni fa], o l’hostess che si ricicla sex bomb per sedurre ad alta quota…
È dura la vita del connesso viaggiatore, peggio del naufrago di Thomas Eliot. Correnti sottomarine di silicio gli spolpano i neuroni in sussurri, mentre affiora e affonda tra un sito e l’altro entra nei gorghi di bit, fino al flutto profondo del mare telematico, che tutto assorbe e debella.
Ne esce madido quando alza la testa dallo schermo, sputa un giga di fiotto d’acqua e guarda attorno. Finalmente è tornato alla realtà. A quel mondo fatto di uomini e donne in carne e ossa, di aria e micropolveri, di traffico e di parcheggi, biciclette e ciclabili. Scontrini mai dati, code in tangenziale, benzina millesimata,  lavoratori e lavoratori in nero. Caste varie ed assortite che vengono difese da sindacati, partiti e istituzioni (ormai la stessa cosa, a giudicare dai componenti che migrano da una parte all’altra) che, come nello Stato di Don Raffaè, si costernano, s’indignano, s’impegnano poi gettan la spugna con gran dignità.
Trovi tutto quello che cerchi, nella realtà di internet. Un passatempo per tutte le età. C’è la scuola, i bambini, la ricreazione, le botte al professore. Ci sono gli street bar, gli aperitivi e le donne tiratissime, per farti vedere quant’erano belle 20 anni prima. Ci sono i bar e i centri sociali. La tua amicizia con Charlize Teron come quella con Bruce Springsteen. È tutto a portata di mano. Basta riaccendere il computer, aprire il browser, cliccare un segnalibro ed il nostro naufrago riprende la sua zattera, la spinge lontano dalla riva e torna in mare aperto. Sognando Miss Atom, ma sperando che in Baviera non prevengano quello che vorrebbe fare con Miss Atom; giocando coi videogiochi per vedere lontano, possibilmente non con uno di quelli dove debba ammazzare delle mucche. O spingersi fino a riva, per riuscire a sbirciare se davvero quel latte è rosa, e lassù in alto, per verificare se quell’hostess vale una trasvolata in prima classe.
In fondo, come nell’opera di Miller, “un viaggiatore deve sognare. I sogni sono i ferri del mestiere”.

mercoledì 4 gennaio 2012

Per rendersi conto che una strada è errata bisogna prima percorrerla


Un giorno, in un Puerto Escondido qualsiasi, in un certo punto della costa del Messico, sbarca dal suo yacht un giovane americano.
Il giovane viene accolto dalla piccola comunità di pescatori ed impiega poche ore per entrare in confidenza con uno di questi; così comincia a fare qualche domanda.
Oh pescatore”, chiede l’americano, “quanto hai pescato stamattina?
“Mah… poco”, gli risponde il messicano, “giusto quello che serviva alla mia famiglia, più quello che hai mangiato tu, ma il tuo è praticamente saltato sulla barca da sé.”
E perché non hai pescato di più?”, insiste il giovane.
“Ehm… non mi serviva di più”, risponde un po’ stupito il pescatore.
E quando non peschi, nel tempo libero, che fai?
“Beh… faccio la siesta, gioco coi bambini, sto con mia moglie, poi la sera noi pescatori ci troviamo tutti là, al bar sulla spiaggia, l’unico che c’è, sai, per qualche birra…”
Senti pescatore, io sono laureato ad Harvard e ci ho il Master in Business Administration… questo vuol dire che ho delle ottime idee per te e per il tuo futuro!
“Ah…” risponde il pescatore un pelo insospettito, “e che idee sarebbero?”
Niente guarda, tu devi occupare un po’ del tuo tempo libero per pescare un po’ di più, poi il pesce che ti rimane lo vendi ai ristoranti, oppure ad un’azienda che poi lo lavora…
“Eh…”, dice il messicano con sguardo stranito, “poi?”
“…poi coi soldi che guadagni dal pesce venduto ti ci compri altre barche per pescare ancora più pesce da rivendere e fare ancora più soldi…”, prosegue il giovane businessman, “…con ancora più soldi magari ti apri un tuo stabilimento per trattare ed esportare il pesce che peschi e lo fai arrivare sulle tavole di tutto il mondo, bello no?
“Come no”, risponde il pescatore, “ma tutta una roba così grande…, quei soldi…, qui nel paesino, che me ne faccio?”
Ma no, pescatore” lo incalza il dollarista, “ovviamente ti devi trasferire a Città del Messico o a New York, creare una società, assumere amministratori, mantenere le relazioni coi clienti poi, quando ti sarai espanso abbastanza, potrai quotare l’azienda in borsa, vendere le azioni e raggranellare milioni di dollari. Pensa”, continua il manager ormai in estasi finanziaria, “tra venticinque o trent’anni potresti essere il presidente di una grande holding, vendere pesce in tutto il mondo, comprarti ville, auto, terreni.
“Eh… bello… poi?”, chiede il pescatore divertito da tal delirio.
Poi arriverai alla pensione talmente ricco che potrai acquistarti una casa in riva al mare e finalmente passare il tempo con tua moglie o a giocare coi tuoi nipoti, riposarti, dormire ed uscire con gli amici...


Questa semplice storiella che gioca con l’idea contemporanea di lavoro e benessere, in cui per caso mi sono imbattuto, mi ha ricollegato al [leggibilissimo] libro di Paul Watzlawick che ho appena terminato: “Di Bene In Peggio. Istruzioni per un successo catastrofico” [Feltrinelli]. Quella che il businessman americano propone al rilassato pescatore sembra proprio somigliare ad una delle ipersoluzioni descritte da Watzlawick, ovvero una di quelle soluzioni definitive che, tentando di migliorare una situazione, finiscono col trasformala in catastrofe. Come spiega lui stesso nell’introduzione: “Caro Lettore! Esistono soluzioni per le quali non abbiamo ancora trovato una denominazione appropriata, e che si potrebbero forse chiamare ipersoluzioni. Il termine definisce un modo di affrontare i problemi che, pur essendo fondato sulle migliori intenzioni, finisce sempre con l’avere effetti controproducenti, più o meno nel significato espresso dal famoso bon mot dei medici: “operazione perfettamente riuscita, paziente deceduto.”