Sia ben chiaro:

Solamente una persona con gravi problemi psichici potrebbe ritenere questa accozzaglia di pensieri e parole come una testata giornalistica,anche perchè viene aggiornata senza alcuna periodicità.

NON PUO'PERTANTO CONSIDERARSI UN PRODOTTO EDITORIALE EX L.62 7/3/2001.



Per contattarmi: rivedelfiume@tiscali.it

sabato 31 marzo 2012

Here, there and everywhere

Insomma: dato che questo fiume è stato forzatamente deviato dal suo corso naturale, ho deciso di trasferire le mie limitata capacità mentali in questo altro posto. Spero che tutti quelli che hanno reso possibile, negli anni, tutto questo, possano regalarmi la loro presenza,

giovedì 29 marzo 2012

Grazie perchè


Allora: fonti solitamente ben informate mi riferiscono che sia il fiumeazzurro che questo porto delle nebbie finiscono in spam (e con essi, il miserrimo miserabile autore) perchè un qualcuno non meglio precisato li mi ci segnala a Blogspot come "spam" o spammer, o comunque come insano portatore di una qualche scorrettezza rispetto ai termini contrattuali. 
Io non so chi sia quest'essere che si prende la briga di bollare me ed i diarii: posso solo augurare a questa personcina di avere una esistenza molto migliore di chi sia costretto a ricorrere a questi mezzucci per riempirsi le giornate. Come diceva Marcello Marchesi in un suo noto aforisma: "Chi si diverte con niente ha fantasia, chi si diverte con poco è un fesso". 

Per cui, cara bella personcina che si diverte con poco, accetta il mio augurio ed un consiglio: fai qualcosa per la tua salute, curati, fatti vedere, esci di casa ogni tanto, insomma cerca di vivere e di non essere solo una mera sopravvivenza anagrafica. 
Hai tutto da guadagnarci.

mercoledì 28 marzo 2012

New skin for the old ceremony

Mi sono spostato QUI, perchè ero stufo dei miei commenti che finivano nella spammeria.

Siete tutti attesi con trepidazione [unico lusso concesso: anche perchè da un lato, siete tutti incorruttibili, e dall'altro non potrei permettermi nessuna altra forma tangibile di persuasione...] .

mercoledì 21 marzo 2012

Non è tutto oro ciò che luccica


Il fenomeno è a dir poco impressionante: non ci avevo mai fatto caso prima, poi un incontro casuale [ed un commento di Leira nel post precedente] hanno dato il via alle considerazioni. Riassunte in una sola parola (in origine erano due, ma le necessità del marketing hanno compresso in una sola. E non solo le parole, sono compresse): i compraoro.
Spuntano come funghi, se persino nella cittadella -che per quanto riguarda l’apertura mentale è in pratica una comunità Amish ma che ama girare in Suv- se ne contano almeno una decina. Uno di questi, ed ecco l’incontro casuale, è di proprietà di un tizio che è talmente convinto della propria avvenenza da riempire col suo faccione le fiancate dei bus e decine di minuti di televendita sulla tv locale. Ad occhio, non credo abbia profondi studi di fisiognomica, ma poco o nulla conta. Conta, invece, che il suo negozio sia sempre pieno. Così, mentre lo vedo “di pirzona pirzonalmente” , vestito di eccellente fattura, occhiale alla moda, orologio che è più oro che logio, sorbirsi avidamente un eccellente e ricco aperitivo, penso che dietro quel bicchiere ci siano storie di affitti, bollette, mutui, spesa alimentare, figli da crescere e far studiare.
Tutte quelle voci di bilancio, insomma, difficili da sostenere quando la crisi colpisce, e colpisce duro.
Per questo sempre più spesso si tende a far ricorso alla vendita dei gioielli e dell’oro usato in cambio di denaro liquido. E dove c’è il miele, arrivano le api. In realtà, pare che aprire una bottega del genere non sia una impresa troppo complicata: basta trovare una vetrina  od un insegna ben colorate, la scritta “compro oro” a caratteri cubitali [ovviamente dorati], un po’ di cartellonistica ed un passaparola nei posti giusti, ed il gioco è fatto . Il boom è generato anche da una normativa dalle maglie larghe: non si paga l'Iva perché l'attività è considerata "di rottamazione". Il registro di carico e scarico merce è l'unica "prova" del passaggio di proprietà dell'oggetto preso in carico. E l'unico obbligo di legge, la registrazione dei dati del venditore, spesso viene ignorato. Non nel caso dell’ Avvenente, che invece è di una correttezza esemplare: ci ho accompagnato, un po’ per curiosità un po’ per doverosa assistenza, mia madre che doveva vendere un po’ di cose legate a ricordi da cancellare.
E mi ha stupito la coda: tra dentro e fuori, almeno una decina di persone.
Persone, e le storie che si portano dietro.
Con molto pudore, peraltro: ma non è difficile intuire che si tratta comunque di persone cui il reddito o la pensione non bastano di fronte ad una spesa imprevista, e che cercano di far quadrare il bilancio senza intaccare i sempre più risicati risparmi rinunciando a qualche oggetto ormai in disuso.
Come nelle banche del post precedente, il rapporto è squilibrato: quelle che sembrano quotazioni alte, sono in realtà pie illusioni. Basta fare un rapido giro per rendersi conto che si possono trovare sostanziose differenze di prezzo d'acquisto tra un punto e l'altro.
Tamponi per ferite, tappi di plastica su un buco troppo grande.
Chi vende è quasi sempre in forte difficoltà economica e ha ben poco potere contrattuale, quindi finisce per accettare prezzi bassi. Inoltre l'oro ritirato dovrebbe essere fuso per legge, ma questo non avviene sempre. Spesso, invece, gli oggetti di maggior pregio sono reimmessi in commercio, con margini di guadagno maggiori.
Una curiosità riportata sul Rapporto Eurispes: la corsa all’oro del terzo millennio si incentra non tanto sull’estrazione, quanto sul recupero del metallo prezioso da prodotti di largo consumo: le schede madri dei pc sono il più ricco giacimento di “oro di seconda mano”, e dai cellulari si può recuperare una discreta fortuna (da 1 milione di cellulari si ricavano 37,5 chili d’oro, 386 d’argento e 16,5 di palladio).
Insomma, se il mattino ha l’oro in bocca, spesso molte bocche mangiano proprio grazie all’oro: e non mi riferisco, ahinoi, solo a chi lo compra.

mercoledì 14 marzo 2012

Money, it's a crime


Avere conservato l’amicizia con un bancario può, a volte, essere un vantaggio.
Non tanto per chiedere eventuali favori (del resto con un magro salario da pubblico dipendente, a differenza di quanto avveniva una ventina di anni fa, erano i bei tempi dei “pochi, maledetti ma sicuri”, adesso non ti vengono a cercare neanche i cani), ma per aver un osservatorio previlegiato su usi e costumi. Quindi, colgo la palla al balzo per andare a trovare il mio vecchio amico amico vecchio D., funzionario di banca sin da quando eravamo insieme alle elementari. Così, mentre siamo nel suo ufficio davanti ad una enorme tazza di caffè,  tutti intenti in complicatissime questioni di alta finanza (alias, la consultazione dei volantini dei centri commerciali per decidere quale pc egli debba comperarsi) capita pure questo. Entra il giovane funzionario, si pavoneggia col suo look che sarà anche costruito sui bigliettoni lasciati nell’Emporio dello stilista con l’aquila, ma addosso a lui sembra più rubato nel sonno ad un testimone di Geova, ed incurante della privacy sghignazza con D. : “Lo sai che Tizio è in difficoltà, alla banca concorrente gli hanno revocato il fido? Adesso non c’è più il paparino a parargli il culo, anche lui è in sofferenza”. Poi mi guarda, e salta su: “Beati noi poveracci, almeno siamo abituati al nostro tenore di vita, questi tipi invece non hanno capito che  a far la bella vita prima o poi si paga. E poi, per non parlare dei commercianti che non fanno gli scontrini…”.
Poveraccio sarai tu, penso.
Il mio amico lo fulmina. In mezzo secondo, ha infranto non so quante norme del codice etico. 

Lo prenderei a calci in culo, se potessi. Invece mi sa che  sarà lui a prendere a calci in culo me per il posto da direttore dell’agenzia”.
“ma dai, tu ormai sono trent’anni che sei qui”
Eh si, ma io pago lo scotto di non seguire il trend…
“Cioè? Spiegami”.
Più o meno, dobbiamo essere lecchini nei confronti di chi versa, cani rabbiosi nei confronti di chi preleva o chiede tempo per rientrare dallo scoperto
“E a chi chiede un mutuo?”
Ma chi, chiede un mutuo, oggi?”

Resto sconfortato. Empatizzo. Del resto, masticandone un po’ e contando sulla amicizia disinteressata di D. [non mi ha mai neppure per scherzo proposto di aprire il conto nella sua banca, si riterrebbe in conflitto di interessi con la nostra antica e consolidata amicizia], ho avuto la prova provata di come certi “rampanti” bancar(ellar)i non sappiano davvero un emerito nulla di quello che sono obbligati a consigliarti se si parla di investimenti e titoli in genere. Sfiorano il ridicolo arrampicandosi sugli specchi. La settimana scorsa hanno contattato mia mamma per proporle un qualcosa: lei ha un conto corrente del quale sono cointestatario; qualche migliaio di euro, non certo grosse cifre.
Allora mi sono finto interessato non alle loro proposte, ma allo swap della Grecia. Ho indossato una magnifica faccia di bronzo (non greco) sostenendo di avere presso un’altra banca un dossier titoli di altrettante (poche) migliaia di euro che avrei anche potuto trasferire da loro, e che al suo interno comprendeva anche titoli di Stato della Grecia. Fingendo una ignoranza abissale, mi sono fatto spiegare cosa sia uno swap, quali alternative potrebbero esserci non aderendo, cosa ci avrei rimesso delle mie obbligazioni senior subordinate, ed altre domande fintoingenue simili.  Quando mi sono sentito dire che ”le obbligazioni senior sono titoli a lungo termine emessi tanto tempo fa che stanno per giungere a scadenza” ed al mio inevitabile “E quindi?” mi sono sentito rispondere “poi decide lei se e come reinvestire, ma non si aspetti grandi cifre proprio perché roba vecchia” stavo scoppiando a ridere. Ma anche un po’ a piangere: perché se il sistema bancario, come diceva Greenspan “è come le vene del corpo umano, mentre i soldi sono il sangue”, allora devo arguirne che, con flebologi così, non c’è da stupirsi se il sistema non stia in piedi.

[poi alla fine D. l’ ha scelto, il computer:  lo stesso che aveva in mente da un mese, non voleva pareri o consigli, ma solo conferme alla sua teoria. L’ho detto che a sei anni era già un bancario.]

martedì 6 marzo 2012

Have a cigarette?


“Scusa, hai una sigaretta?”
In effetti, il ragazzo è malconcio, non occorre una gran scienza per capire che vorrebbe ben altro fumo, ma non riesco a dirgli di no. Una sigaretta non la si nega neppure ai condannati a morte, e tuttora a me è rimasto il rimpianto di non aver potuto accontentare mio padre, che fino all’ultimo minuto di lucidità prima di andarsene ne reclamava, implorava, pietiva almeno una.
Da allora non riesco a dire no, a nessuno, voglio pensarlo come omaggio postumo alla memoria, ecco. Chè poi, a pensarci, la sigaretta è un simulacro. Un piacere solitario, da consumare fra sé e sé, che rimane tale anche quando si fuma in gruppo, tipo fuori dal ristorante o quando un treno fa una sosta “tecnica” prolungata in una stazione. A differenza di altri tipi di fumo, come quello che magari il malconcio auspicava, che invece hanno nella condivisione del piacere un mezzo ed al tempo stesso un fine.  Ognuno ha un suo modo di celebrare il tabacco, fattori culturali ed ambientali fomentano le differenze. Dalle sigarette russe col filtro di cartone per essere fumate coi guanti, a quelle che io ho ribattezzato cotton fioc; dal modello Bogart, un’icona per molti di noi, alla sensualissima Marlene Dietrich; dalle atmosfere sognanti delle donne di Helmut Newton alle poverecriste cui il parroco scaglia anatemi in quanto le loro sigarette sono la prova provata dell'esistenza del Maligno. Per tacere dell’iconografia anni’50 (spero limitata nel tempo) della donna che fuma per strada e quindi è sicuramente un po’ zoccola…..
E non tutte le sigarette sono uguali: e non certo per questione di marca. Quella da pausa pranzo è veloce, nervosa; lenta e gustosa è quella che ti gratifica dopo uno sforzo fisico o mentale; ridanciana è quella che si fuma tra amici dopo un brindisi. C'è quella consolatoria, quella della rabbia, della noia, delle malinconie; c’è quella “irrinunciabile” dopo il caffè, quasi un rituale. C’è quella per “fare un po’ il figo”: ai tempi della mia gioventù erano un classico, i ceffi con il pacchetto delle Marlboro nelle maniche arrotolate della camicia. C’è quella usata con l’alibi del “fa digerire” dopo una abbondante libagione; come quella un po’ ruffiana che offri per bendisporre l’interlocutore o una ragazza.
E non a caso l’unico luogo pubblico dove si possa ancora fumare legalmente, in Italia, sono le carceri: il legislatore ha avuto il buonsenso di non scatenare, con un eventuale divieto, rivolte inimmaginabili. Dopodichè, occorrerebbe riflettere sul fatto che sia meglio essere schiavi di un vizio ed essere impediti dal metterlo in pratica, oppure essere autorizzati ad attuarlo, ma in condizioni di prigionia. O se, alla fine, certe mura in realtà imprigionano anche chi non si accorge di averne addosso incombenti ed evidenti: e sono, forse, quelle più difficili da abbattere.