Domenica 19 agosto 1928
Mia amica. Ho la febbre in tutto
il corpo. Il tuo contatto mi ha riempito di tutte le dolcezze. Mai come in
questi lunghissimi giorni, ho tanto centellinato i sorsi della vita. Prima
vivevo le ore tranquille di Tantalo ed ora, oggi, l'oggi eterno che ci ha
uniti, vivo, senza saziarmi, tutti i sentiti armoniosi dell'amore tanto cari a
Shelley ed alla George Sand. Ti dissi - in quell'amplesso espansivo - quanto
tempo ti amavo, ma vorrei dirti anche quanto ti amerò, perché il pane della
mente che sa materializzare tutte le idealità elette dell'esistenza umana, ci
sarà la guida più esperì a ,pieno di tante abilità, risolutrice di tutti i
problemi nostri, che - e te lo dico con tutta la sincerità di un amico, di un
amante di un compagno il nostro unisono bene sarà bello e lungo, godente e
pieno di tutti i sentimenti, grande e sconfinatamente eterno. Quando ti parlo
di eternità - tutto ciò che il cuore ha voluto ed amato è eterno - voglio
alludere all'eternità dell'amore. L'amore mai muore. L'amore che ha germogliato
lontano dal vizio e dal pregiudizio, è puro e nella sua purezza non si può
contaminare e l'incontaminato è dell'eternità. Vorrei potermi esprimere sempre
nel tuo idioma (Fina gli scriveva sempre in Castigliano, n.d.r.) per cantarti
ogni attimo del tempo la dolce canzone dell'anima mia, farti comprendere i
palpiti che percuote fortemente il cuore, le delicate figurazioni del pensiero
mio che di te invaghitesi non potrà mai dare il "finis" della sua
elegia. Ma d'altra parte - io che credo che il mio amore è da te
contraccambiato con tutta la possanza della tua gioventù ancora in bocciolo,
l'ho letto tante volte sulle tue nere pupille - mi contento nel sapere che per
comprendere queste linee debbono essere rilette più di una volta da te. Tu non
avrai tempo di scrivermi. Tu devi ancora dedicarti allo studio. Baciami come io
ti bacio. Rendimi duplicato il mio bene che ti voglio. Sappi che ti penso
sempre, sempre, sempre. Sei l'angelo celestiale che mi accompagna in tutte le
ore tristi e liete di questa mia vita refrattaria e ribelle. Con te, ora e
sempre.
Tuo Severino
Severino è Severino di Giovanni,
e la lettera è indirizzata ad America Josefina Scarfò detta "Fina",
italoargentina di origine calabrese (Buenos Aires 1913-26 agosto 2006). Siamo,
appunto, nella Argentina degli anni ’20, tra anarchia, terrorismo, amore ed
impegno politico. Qui, la figura romantica di Fina diventa un’icona negli
ambienti anarchici. Sorella di Paulino ed Alejandro Scarfò, anarchici e
compagni di lotta di Severino, si innamora a 15 anni di quest’ultimo, e ne
condivide le sorti fino alla fucilazione, avvenuta il 1 febbraio 1931. La
stessa sorte tocca il giorno seguente al fratello Paulino. Restata sola, in un
mondo assolutamente nemico, continua a mantenere viva la memoria dei suoi cari, ed avuto notizia, negli anni settanta, che la polizia federale argentina è ancora
in possesso delle lettere d'amore che Severino le aveva scritto, intraprende una lunga lotta
con la stessa, al fine di ottenerne la restituzione, che finalmente ottiene
durante il governo di Carlos Menem. Fina intanto si è laureata in lingua e letteratura
italiana, ha fatto l'editrice per decenni, prendendosi a 86 anni il diploma
universitario di "traductora publica" dal francese continuando a
frequentare, nonostante l’età, l'università di Buenos Aires. Tutto ciò per adempiere
giorno per giorno al monito di Severino che prima di morire le ha raccomandato
"Continua a studiare!".
La storia d’amore è stata raccontata
da Maria Luisa Magagnoli nel romanzo biografico “Un
caffè molto dolce” [Bollati Boringhieri, 1996]. Il racconto ripercorre le
tappe della storia d'amore e d'anarchia che nel tempo si è diffusa e propagata
a macchia d'olio dall'America Latina in tutto il mondo. L'insegnante Di
Giovanni è emigrato da Chieti in Argentina con la moglie Teresa e tre
figli, approdando per caso nell'abitazione della famiglia Scarfò, d'origine
calabrese - la madre Caterina Romano originaria di Tropea e il padre Pietro
Scarfò di Portigliola - la quale offre ai Di Giovanni, in affitto, parte dei
propri locali. Dalla convivenza tra le due famiglie nasce l'amore tra il
giovane e la quindicenne Josefina America. Le lettere che Severino di tanto in
tanto fa recapitare alla ragazza contengono parole sublimi di ardore e passione
che però danno un tono sempre rispettoso alla relazione tra i due, in
contraddizione con il modus operandi dell'anarchico che predilige, in nome
della sua libertà, le scorribande terroristiche cittadine dispensando dinamite
e pallottole in decine e decine di attentati sanguinari. Per potere stare
assieme a Severino, e quindi lontano dai suoi, America sposa, d'accordo con
l'amante, un certo Silvio Astolfi che dopo la morte di Di Giovanni abbandona,
troncando i rapporti con la propria famiglia.
"Come stanno le
begonie?" è il primo punto di domanda che Severino rivolge ad America per
rompere il ghiaccio di quella che sarà la loro relazione sentimentale. E' la
frase che col tempo è divenuta "cult" tra i giovani [e meno giovani] argentini
per auspicarsi che l'inizio dell'approccio amoroso vada verso il buon esito
sperato. Da tempo è adottata nello scambio degli auguri in occasione della
Festa di San Valentino. [Per la cronaca, la risposta di Fina è stata "Sono
triste!"].
Arrestato e condannato a morte, a
Severino viene concesso di salutare Fina, anch’essa detenuta, prima
dell'esecuzione. Lei lo abbraccia, lui la bacia. Le chiede di badare ai
figli che egli ha avuto con Teresa, sua moglie. America gli risponde: "Il
tuo ricordo mi rimarrà fino alla morte". Lui la guarda con gli occhi pieni
di lacrime e le dice:"Oh, Fina, tu sei così giovane!Devi continuare a
studiare". Si baciano di nuovo. Fina esce, continua a guardarlo, per
questo inciampa in una grata e Severino le dice: "Stai attenta!".
I principali giornalisti di
Buenos Aires assistono alla fucilazione. La miglior cronaca è quella di Roberto
Arlt che non aggiunge alcun commento da parte sua, si limita a descrivere quel “teatro
irrazionale della forza bruta contro le idee. La scarica terminò con il più
bello tra i presenti", come conclude il suo articolo per il Buenos Aires Herald.
Il giorno seguente cade anche
Paulino Scarfò dinanzi al plotone di fucilazione. Sia Severino che Paulino,
prima d’esser fucilati, sono stati barbaramente torturati dalla polizia di
Uriburu. Ma essi non fanno il nome di
nessun compagno. L’ultimo incontro tra Fina ed il fratello è brevissimo. Lei
non riesce a dissimulare il proprio dolore nel vedere il suo volto gonfio. Lui
la trattiene: "Non piangere". Poi, con molto affetto, aggiunge:
"Povera ragazza". Le bacia una guancia. Lei lo bacia con forza e gli
chiede: "Non vuoi vedere la mamma?". Lui risponde: "No, non vedi come
sto?". Gli si vedono tutti i segni delle torture. Poi aggiunge: “Sto
desiderando che tutto questo termini una volta per tutte". La bacia. Fina
lo riabbraccia, si guardano negli occhi, ma non piange. L’agente di custodia sollecita [possiamo immaginare con quale
garbo] di farla finita. Fina se ne va,
il passo deciso. Sia Severino che Paulino, di fronte all’ordine di far fuoco, gridano con tutto l’ultimo fiato: "Viva
l’anarchia!". Accade nel penitenziario di Buenos Aires, e le scariche sono
talmente intense ed accanite da essere udite fino nei giardini del quartiere Palermo. Nell’arco di 48 ore alla adolescente Fina hanno strappato due suoi grandi affetti. Resta sola, in un
mondo assolutamente nemico. Ma combattiva, decisa, pugnace.
Ed innamorata di vita e di amore.
"Carissima, più che con la
penna, il testamento ideale m’è scaturito oggi dal cuore, quando ho parlato con
te: le mie cose, i miei ideali. Bacia mio figlio, le mie figlie. Sii felice.
Addio, unica dolcezza della mia povera vita. Ti bacio molto. Pensami sempre.
Il tuo Severino".